giovedì 28 marzo 2024

tradizioni

 

 Nella tradizione popolare di alcuni paesi  europea fino agli anni Sessanta del Novecento esistevano delle  “esortazioni”, laicamente chiamate ”superstizioni”  riferite  al Venerdì Santo. Ne riporto alcune.

-          Chi oggi mangia carne  avrà presto le mani piene di verruche e sarà morso dalle zanzare durante l’estate; [SP-FrS]

-          Chi durante questo giorno beve più di tre bicchieri  d’acqua soffrirà la sete tutto l’anno; [SP]

-          Chi al mattino di venerdì mangia una mela a digiuno non avrà mal di stomaco per tutto l’anno; [FrS]

-          Chi mangia una o più ciambelle salate a stomaco vuoto non avrà mai la febbre durante l’anno; [SP]

-          Chi oggi fa il bagno  prima del sorgere del sole verrà liberato dalle eruzioni cutanee; [FrS]

-          Chi cuoce il pane  al mattino e lo consuma durante questo giorno può diventare santo; [SP

-          Chi oggi stende al sole i propri vestiti non li vedrà mai attaccati dalla tarme;  [FrS]

-          Chi nasce  in questo giorno è destinato  a morire di morte violenta;  [GeS]

-          Chi alle tre del pomeriggio (ora della  morte di Cristo) taglia il germoglio di un tiglio, lo trita e lo mescola con la pappa del bambino, questi non soffrirà di mal di denti. [FrS]  

-          Chi  oggi uccide  le mosche, si vedrà perseguitato da esse durante l’estate; [FrS]

-          Chi muore in questo giorno  si salva l’anima; [SP]

-          Se oggi c’è un morto in casa, durante l’anno  la casa non verrà  colpita da nessun fulmine; [GeS]

-          Se oggi in paese si svolge un funerale nessun fulmine o  pioggia torrenziale  lo colpirà. [GeS]

(Area  FrS=Francia Sud;  GeS= Germania  Sudovest; SP= Spagna).

[ft Michele Volonnino, Processione del Venerdì Santo]

 

giovedì 21 marzo 2024

FRICCICA'

 

 

  “Me sento tutto friccicà!” fu la frase che mi sorprese il primo giorno di primavera del 1957. Ero a Trastevere ed era la prima primavera che vivevo a Roma. “Friccicà!”, che voleva dire? Semplice, mi fu spiegato dalla cassiera del bar di piazza san Cosimato: "Vor di'' il sangue che bolle nelle vene” inteso come un richiamo d’amore. Bellissima frase!

lunedì 18 marzo 2024

SI FACEVA COSI'

 

SI FACEVA COSI’ - In 51 Comuni della Basilicata fino agli anni Settanta del secolo scorso veniva acceso un falò in onore di San Giuseppe. Succedeva la sera della vigilia. Intorno al fuoco con legna raccolta di casa in casa soprattutto dai ragazzi. Acceso i falò, le donne sedevano in cerchio e recitavano il rosario, al termine si scambiavano informazioni tra loro (era un efficace ‘bollettino’ di notizie col sapore del pettegolezzo). Gli uomini stazionavano nelle vicinante e alzavano qualche bicchiere di vino, o forse anche due, ma non facciamo i pignoli. Tutti sapevano che quei falò, oltre che a riscaldare il “Santo vecchierello”, avevano una funzione sociale specifica: “bruciavano” per così dire ciò che poteva essere stato motivo di frizione o di dispiacere fra gruppi di amici o di parenti, e cioè cancellava la divisione fra persone e tra famiglie. Proprio intorno a quel falò, infatti, le famiglie si riappacificavano così come pure le coppie di fidanzati che avevano litigano, a volte anche di brutto, ma senza essere presi dalla tentazione di eliminare la donna. Insomma: gli strappi si ricucivano…
Altri tempi!

mercoledì 13 marzo 2024

SCUSA

 

Che l’età non mi consenta di capire certi cambiamenti linguistici, lo ammetto,  ma, credetemi, io rimango muto nel sentire chiedere  “SCUSA” da chi ammazza una donna o un familiare.  Scusa è un’espressione di cortesia formale di rincrescimento per una mancanza commessa, lieve o meno lieve. Ricordo che in passato un assassino chiedeva “PERDONO”, che è cosa ben diversa. Lo so che questa  è una parola non facile da pronunciare sia un senso attivo che passivo, ma detta da un assassino significa riconoscere la gravità dell’ azione commessa, il male fatto ad un altro, il dolore arrecato, e che quindi è davvero intimamente dispiaciuto (o pentito) per quanto commesso. Pronunciare tale parola significa mettere da parte il proprio orgoglio. E non è cosa da poco….L’orgoglio, forse di onnipotenza?, fa credere di essere in diritto di uccidere una donna o un familiare e non chiedere perdono ma semplicemente “scusa”.

Non capisco. Non credo che si tratti di una questione filologica…  No. Forse ciò è dovuto al cambiamento del concetto di valore della vita umana....

lunedì 26 febbraio 2024

ANNIVERSARIO

 

 


 i avvicina il 60° anniversario de “Il Vangelo secondo Matteo” di Pier Paolo Pasolini. Film super premiato, a lungo ammirato, disprezzato, dibattuto, discusso. All’epoca, 1964, il pubblico era abituato ai colossal americani in cui la figura di Cristo veniva presentato già nella sua ”nicchia” di beatitudine e di santificazione. Non era un uomo ma soltanto un Dio… E venne il Cristo di Pasolini che annullò le certezze dei tradizionalisti, cattolici e non; che esaltò quanti pensavano a un Cristo “anche” uomo , cattolici e marxisti. Ci fu certa stampa, anche quella moderata, che arrivò a scrivere “come può un marxista e in più omosessuale capire la figura di Cristo!” Come se per capire il messaggio evangelico bisogna essere bravi cristiani e (cosiddetti) “normali”. Che Italia! Certo, Pasolini sceglie quei passi significativi di Matteo che riguardano il carattere “rivoluzionario” del messaggio cristiano, soprattutto sociale. No, i buoni borghesi della messa domenicale non potevano accettarlo. A risentire oggi quelle parole ci si può anche domandare: che fine esse hanno fatto in questa società dei consumi? (contro cui Pasolini ebbe parole di fuoco) .

(Nelle foto: P.P.P. ed Enrique Irazoqui, il Cristo, nel 1964 nel 2015 all’Università lucana)


 

domenica 11 febbraio 2024

UN PATRIARCALE CARNEVALE

  - Invitato e contagiato dall’allegria, giovedì grasso arrivo in una casa di campagna del mio paese lucano. Già altri, una decina tra amici e conoscenti dai cinquanta in su, stanno spiluccando pecorino e palline di formaggio imbevute nel sugo. Piccanti da inferno. Il rosso Aglianico garganella nelle bocche senza farle smettere di motteggiare oscenità del tempo del loro antico servizio militare e rievocare le servette per avventurine che rompevano la solitudine di soldato. Ricordi stralunati! Alticcio, un bassino rinsecchito tenta di tarantellare, macché, le gambe non ballano ma traballano e lui si accascia sulla panca bestemmiando il Padreterno ché gli ha rubato la giovinezza. Una volta lui ballava da dio, puttana Eva! Certo, una volta, ma non aveva 70 di anni e 100 di fiatone… Pausa con succulenti involtini di maiale con foglia di alloro arrostiti sulla brace. E Aglianico.

L’anfitrione imbraccia il suo mandolino con voluttà e lo suona bene anche se ad orecchio. Facciamo una Sanremo campagnola? Perché no. Che idea! Mastropeppe, mani callose di falegname, parlantina di civetta e già tocco di vino, avanza come conduttore scimmiottando quello della tivvù, ma, sorpresa, tira fuori il suo portafoglio gonfio di… pizzini. Giura che è un regalo di Messina Denaro. Wow! e si becca un sibilare di fischi alla pecorara! Ma lui tira dritto, occhieggia uno dopo l’altro i pizzini e legge parole di una cattiveria esilarante per quei cantanti visti a mezzo tra il sole e la luna (dalla sessualità sospetta, cioè) … Sulle cantanti i pizzini dicono parole melensi per i molli seni e via dicendo.., tutte linee qui modellate nell’aria dalle mani callose ed esaltate da fischi à gogò. Ma sono minacce amare per quelle cantanti piatte come una tavola! Wow! e lui si becca pernacchi sonori presto zittiti da una canzone napoletana strappacore. Da sceneggiata| E’ di una voce tenorile, patetica ma intonata che, senza intervallo, tira fuori tutto il fiato per il ‘Vincerò! Vincerò!’ pucciniano. Caspita, ha quasi 80 anni e fa scoppiare applausi a spreco! Mastropeppe presenta in falsetto “Con te partirò”. Certo che partirò, canta il tenore, ma per lasciare la moglie di cartapecora e brucare con una ‘vaccarella’ (una giovane) per andare in paradiso! In coro a cappella ritmato da fischi cantiamo vecchie satire da cantina, quando c’erano le cantine, contro il mondo che sta sotto e sopra questo cielo!... Che dire? Sono proprio caduto in una compagnia di maschilisti spinti, caspita, e sicuramente patriarcali! Pausa con fusilli al sugo di ventresca e peperoncino piccante. E Aglianico.
Bussano alla porta e irrompe nella stanza un piccolo corteo nuziale, di quelli vaganti. Mamma mia! La ‘sposa’ è un cristone alto con baffi veri e petto finto . Lo sposo, bassino e botticella, indossa un abito da passato contadino e gorgheggia da pollastro. Che scompisciare dal ridere! ‘Lei’ sculetta vezzosa e spesso ci da le spalle per far notare la scritta sull’ ampia sciarpa bianca che l’avvolge: “comando io”. Oddio, l’ influencer ha contaminato anche la tipica maschera contadina lucana! Non così è per la maschera di “Zi’ monaco” che ci benedice col suo cordone dritto dritto. Allusivo? Certo, è carnevale! E non ci spaventa la maschera della Morte del corteo che minacciosa ci picchia in testa con una tibia di gomma. Ridiamo di Lei, almeno a carnevale. L’organetto degli ‘sposi’ trascina in una mazurca tutti, Morte compresa, senza che prima ciascuno di noi alticcio non raccomandi al partner di non abbracciarlo troppo ché lui è maschio verace!... La visita finisce regalando cibarie agli “sposi” ma…ma allo sposo il dono è particolare: un osso di uno stinco di maiale, duro, per la ‘prima notte’, e un po’ di uova sode per il giorno dopo… Un tempo si usava così (ancora un’allusione!). Ci salutano coprendoci di coriandoli. Pausa con salsicce alla brace e peperoni sottaceto. E Aglianico.
Mastropeppe con orbite oculari da spavento (effetto vino) ci obbliga al brindisi. Si usa. Uno dopo l’altro, alto il bicchiere, biascica versi in rima baciata o non baciata ma stralunati. Si brinda ai mariti cornuti e ai ragazzi segaioli, al prete allupato e a Zi’ Miche’ infoiato per una pastorella, alle vergini per finta e alle vedove senza pace... Ognuno dice la sua da maschietto d’altri tempi! Pausa con la torta di sanguinaccio, uva sultanina e noci ma, mentre sgranocchiamo i grandi taralli coperti di albume zuccherato, il mandolino rievoca note che sanno di nostalgia. Il meno ubriaco tra noi e con voce sgranata intona una melodia per la donna amata. E’ un canto triste con parole che un tempo davano vertigini e chiedevano giuramenti. Cala sopra di noi un silenzio quasi magico: muti, annuiamo con la testa piena di fumi e facciamo nostra la tristezza del canto del pastore che andava lontano dal suo amore. E’ un canto lucano della transumanza…
Ed io mi accascio sulla poltrona... Che folle carnevale patriarcale!
 
 

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sabato 20 gennaio 2024

PRESENTAZIIONE

 

 

Faceva freddo quel pomeriggio nel Duomo di Atella. Davvero freddo. Tuttavia più della metà dei banchi era occupato, inaspettatamente. Il giovane parroco di quel 2017 – se non erro – acconsentì a presentare  il mio ultimo libro “La maciara indaffarata”. Si sa che quella pagine parlano degli atti e delle formule utilizzate da una figura per secoli molto attiva nel mondo contadino lucano, la maciara (o masciara). L’interesse del parroco si era concentrato sul capitolo del dedicato ai “santi guaritori” invocati dai lucani per la guarigione  E in Basilicata essi erano piuttosto numerosi considerate le varie malattie diffuse (Atella è stato un centro di culto molto importante dedicato a Santa Lucia, protettrice del vista).

L’aspetto interessante di tale argomento riguardava il variare della frequenza delle preghiere e del fervore posto in rapporto alla persona da guarire. Le madri pregavano intensamente, nell’ordine 1) per il figlio maschio adulto (importante motore dell’economia famigliare), 2) per l’asino, (idem come prima),  3) per il marito. L’ordine mutava quando a pregare era il marito: 1) per l’asino, 2) per il figlio maschio adulto, 3) per la moglie (a volte, però).  

Da notare: l’asino era equiparato ad una ‘persona’. Non è difficile capirne il motivo in una economia di sussistenza com’era quella lucana.

Il pubblico lasciò il duomo  col viatico delle domande intelligenti del parroco, delle parole intriganti di Giuseppe Melillo (alla mia destra), del mio chiacchierare ammiccante (nonostante il freddo, ma dovevo pur vendere il libro, no?,  e andò bene).

sabato 6 gennaio 2024

EPIFANIA 2024

 

 

“Con l’Epifania noci e nocelle vanno via”, dicevano i nostri contadini. E la festa era finita. E’ finista anche adesso. Finalmente! dicono in molti con soddisfazione, altri con finto rammarico. Sto coi primi perché il lungo periodo festivo mi rende dispersivo. Sto anche coi secondi perché penso alla bella occasione di vivere la piacevole attesa… dei dolci natalizi, paesani e milanesi. Però, sono sincero, a mangiarli “mi sono mantenuto”, come si dice. Sono salito sulla bilancia casalinga il 23 dicembre: solito peso ottimale. Sono risalito stamattina 6 gennaio: più 600 grammi. Beh, ci posso stare, non è disastroso! Ho pagato un prezzo, però: a tavola ho assaporato soltanto l’ odore degli antipasti; mezzo primo piatto, mezzo secondo di un altro primo; mezzo secondo, mezzo secondo di un altro secondo, eccetera. Tutto a metà.. e poi per concludere, lo confesso, doppio dolce (o forse triplo? non ricordo bene). Ne è valsa la pena. Mi sentivo in dovere di farlo, sennò che festa era? Qualcuno potrà trovare peccaminoso questo mio vizio un poco esagerato, la golosità. Mi mette in allegria ed è l’unico sopravvissuto agli altri volati via lasciandomi un filo di rammarico. Dovrei piangermi addosso per questo? Ormai sono così vecchio che il mio certificato di nascita è scolpito nella pietra e quindi preferisco ridermi addosso. E ho riso in faccia a chi mi ha chiesto con impudente ironia “che proposito hai fatto per quest’anno?” Ho risposto divertito: “di saper contare fino a cento natali, poi si vedrà”.
Da domani ritorno al mio mangiare un piatto unico a pranzo e un secondo a cena. Mi servono per mantenere dritto il mio metro e 80 di altezza.
 
Auguri di dimagrimento, a tutti….

mercoledì 3 gennaio 2024

CAPODANNO

 


Ieri notte, di Capodanno, immersi nei bianchi fumi delle bollicine, ognuno degli ospiti ha risposto ad una domanda, di solito maliziosa, su ciò che si desidera per il nuovo anno. A me è toccata così: “Nel 2024 come vorresti che fosse il tuo letto, sempre riscaldato oppure… solitario? (detto con tono insinuante).
Con un mio bla bla dico che… - che dico? – le bollicine mi accalorano ma mi tirano fuori un tono da navigato, o presunto tale, dico che mi piacerebbe avere una stanza così e cosà, con libri di sopra e di sotto e al centro un suntuoso letto così e cosà fatto di pagine capaci di riscaldarmi dentro (da spente, però…). Bisogna capirmi, alla mia età si desidera incontrare soltanto persone innocue - innocue!!! - e nei libri ve ne sono.”
La risposta? Una bordata di fischi burleschi. Eccomi qua…ancora una volta incompreso! Lasciatemi illudere.
 
 
A CIASCUNO DI VOI AMICI di facebook auguro, con le parole di un grande saggista ucano, don Giuseppe De Luca, “auguro buon anno anche ai tuoi sogni che vorrai realizzare, ai buoni propositi ed ai traguardi che vorrai raggiungere! Alle cose vecchie ed ai bei ricordi che nel nuovo anno vorrai portare con te. Vivi ogni giorno con entusiasmo e non lasciare che nessuno mai ti venda tristezza perché quando hai pace nel cuore, hai la più grande ricchezza."

sabato 23 dicembre 2023

NATALE 2023

 

Voglio augurare a tutti un Buon Natale con una poesia del famoso poeta romanesco Trilussa, che parla senza ipocrisia (la si legge facilmente) : 
 
“Ve ringrazio de core, brava gente,/ pé ‘sti presepi che me preparate, / ma che li fate a fa? Si poi v’odiate, / si de st’amore non capite gnente?…/ Pé st’amore io sò nato e ce sò morto, / da secoli lo spargo dalla croce,  ma la parola mia pare ‘na voce / sperduta ner deserto, senza ascolto. / La gente fa er presepe e nun me sente; / cerca sempre de fallo più sfarzoso, / però cià er core freddo e indifferente / e nun capisce che senza l’amore / è cianfrusaja che nun cià valore.”
 
L'immagine riporta l’augurio “Buon Natale" in varie lingue
 
 

 

mercoledì 13 dicembre 2023

INCONTRO DI VITA

 

 

Non ricordo con precisione se fosse il 1977 o ’78. So che era il 13 di dicembre quel giorno in cui prelevai davanti al cinema Reale (allora si chiamava così), a due passi da piazza Sonnino in Trastevere, Rino Gaetano. Erano le 15,30 e per le 17 dovevamo stare a Latina per andare in onda su Radio Sabaudia. Erano anni in cui  in Italia erano scappiate le radio libere. Si respirava un’aria di effervescenza libera da  quell’ingessatura cui ci avevano  abitati  la radio e la TV di Stato.  A Latina era nata una radio che copriva tutta l’area della provincia . Nessuno dei cantanti in circolazione,  già conosciuti o  meno, aveva la puzza sotto il naso di non esibirsi davanti  ai microfoni “liberi”. Lo faceva gratuitamente, anche perché quelle radio erano ricche di allegria e povere di money.

Rino al telefono accettò il mio invito. Lungo il percorso parlammo di molte cose ma soprattutto del Partito (il Comunista, intendo), che non aveva buon sangue nei suoi confronti. Lui era un poco dispiaciuto e parecchio incazzato  però dal modo di parlare capii che il suo disagio esistenziale era marcato  (le altre sue molte parole, sensate e interessanti, le ho appuntate in uno dei miei quaderni  dedicati agli “incontri” importanti).

Davanti al microfono  andò tutto bene – 30 minuti inframmezzati da tre sue canzoni – (la SIAE              ancora non si azzardava a chiedere i diritti).   

Di ritorno verso Roma mi venne l’idea – balsana, direi! – di chiedergli un po’ di parolacce calabresi, in calabrese, naturalmente.  E lui mi chiese quelle lucane. Affare fatto. Le nostre lingue si scaldarono e fu  un’ora di grandi risate tra noi. Da scompisciarsi! Salutandoci, ci abbracciammo davanti a Reale. 

Mi  piace ricordare quelle quattro ore passate insieme in quel 13 dicembre perché…perché ebbi a che fare  con un giovane con una ricchezza interiore non comune (e non sto qui a gratificarlo). Mi piace ricordarlo facendo mia una definizione di Paride Leporace: “  Rino, orgogliosamente terrone e calabrese, emigrante, romano alternativo, per nulla radical chic ma anticonformista non omologato nei testi e nella vita, ci ha lasciato una poetica che piace oggi anche a molti giovani.”   

Ciao Rino.